mercoledì 5 agosto 2009

L’Italia e la fame nel mondo. Aiuti ridotti a un decimo. Dimezzati i fondi.


Il dimezzamento dei fondi dei Paesi ricchi al programma contro la fame, infatti, fa già mancare la benzina agli aerei che portano gli aiuti nei luoghi più remoti, più impervi, più disperati. E l’Italia, purtroppo, è tra i paesi più tirchi.

L’allarme viene lanciato dal sito del Pam, il Programma alimentare mondiale, la più grande organizzazione umanitaria internazionale, che dipende dalle Nazioni Unite e ha sede a Roma: il Servizio aereo umanitario ha «crescenti difficoltà a mantenere operativi i voli in molte parti dell’Africa a causa della drammatica scarsità di fondi». Cosa vuol dire? Vuol dire che nel giro di due settimane, se non saranno recuperati in tutta fretta 6,7 milioni di dollari, potrebbero essere sospesi i voli che nel Ciad consentono di raggiungere i campi profughi in cui sono ammassati 250.000 rifugiati del Darfur e altri 180.000 sfollati nel-l’est del Paese che hanno bisogno di assistenza. Per non dire di altri punti di crisi del pianeta, dalla Costa d’Avorio (dove già i voli sono stati soppressi a febbraio) all’Afghanistan. Il servizio costa 160 milioni di dollari l’anno: per il 2009 ne sono arrivati 40.

Quello dei voli umanitari, però, è solo uno dei problemi. Come ha denunciato l’altro giorno a Washington la direttrice, Josette Sheeran, il Programma alimentare mondiale «sarà costretto a quasi dimezzare gli aiuti per il 2009 portandoli da 6,7 a 3,7 miliardi di dollari». A dispetto delle promesse, ribadite per l’ennesima volta il mese scorso al vertice dei Grandi all’Aquila e a Roma, dove la Sheeran offrì alle «first lady» una tazza di plastica rossa simbolo della campagna per l’alimentazione scolastica (che nutre ogni giorno 22 milioni di bambini in una settantina di Paesi con una zuppa di cereali e vitamine), i contributi al Pam da parte dell’Occidente sono sempre più risicati.

Certo, non si può generalizzare. Il Giappone, stando alla banca dati OCHA per le emergenze alimentari e alle proiezioni sui contributi al 31 luglio rielaborate da Iacopo Viciani aumenta il suo apporto da 94 a 109 milioni di dollari e il Belgio da 17,9 a 20. Ma in genere i tagli per queste emergenze sono pesanti: gli Stati Uniti passano da 1.154 milioni a 854, la Germania da 50 a 33, l’Olanda da 58 a 12, il Canada da 184 a 49, il Regno Unito da 159 a 33... Insomma: sono un po’ tutti a serrare i cordoni della borsa. Come già li avevano serrati al G8 destinando ai paesi poveri quei 20 miliardi di dollari complessivi, pari a 13 millesimi dei fondi investiti per aiutare le banche e arginare la crisi finanziaria.

Spicca tuttavia il caso dell’Italia: da 40,4 a 3,3 milioni di dollari. Più che un colpo di forbice, un colpo di accetta. C’è chi dirà che il dato, in sé, non significa molto. Perché oltre alle «emergenze alimentari» ci sono altre forme di intervento e ogni Paese può autonomamente decidere di puntare di più, anno per anno, su questa forma o quest’altra. Tanto è vero che anche Paesi tradizionalmente generosi come la Svezia, in questa tabella, sembrano essere diventati improvvisamente sparagnini. Il fatto è che l’Italia (non solo col governo attuale: la tendenza è netta e, sia pure con qualche isolato ritocco, prosegue da molti anni) è agli ultimi posti in tutte le tabelle di questo genere. Tutte. Basti ricordare che, nonostante gli impegni del Cavaliere al G8 di Genova («Non basta lo 0,70 del Pil: gli stati ricchi dovrebbero dare ai poveri l’uno per cento!») siamo via via scesi coi nostri contributi al punto che quest’anno potremmo assestarci tra lo 0,15 e lo 0,17% solo grazie alla cancellazione di una parte dei debiti, altrimenti potremmo finire intorno allo 0,09: sette volte meno di quanto avevamo garantito. Dieci volte di meno di quanto Berlusconi, non a caso costretto ad ammettere «siamo nel torto assoluto» dopo essere stato bacchettato dal premio Nobel per la pace Desmond Tutu e da Bob Geldof, aveva incitato a fare.

Non c’è praticamente nulla, nel nuovo Dpef dove pure si riconosce che «alcuni Paesi in via di sviluppo hanno subito uno choc molto severo », sui nostri impegni per il Terzo Mondo. E i dati forniti dal Pam, che nel 2008 ha aiutato a sopravvivere 102 milioni di persone in 78 Paesi, non lasciano spazio a imbarazzate precisazioni: pur facendoci continuamente vanto di essere tra i Grandi, siamo retrocessi nel 2009 al 14˚ posto tra i Paesi che finanziano la guerra alla fame nel mondo. Avevamo dato al Pam, l’anno scorso, 101 milioni di dollari: siamo precipitati a 25. Un quarto.

Corriere della Sera 3 agosto 2009, http://www.cgil.it/RassegnaStampa/articolo.aspx?ID=1652

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