Articolo tratto da Lavoce.info
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000543.html
AIUTI LEGATI SULLA STRADA PER ACCRAAlla prossima Conferenza internazionale sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo si discuteranno i piani elaborati dai paesi donatori per riformare la gestione degli interventi, divenuta negli ultimi anni sempre più complessa. Non ci sarà però un piano italiano. Non abbiamo approfittato di quest'occasione per avviare una riflessione su un sistema di aiuti a progetto, spesso lontano dalle reali priorità del paese partner e condizionato all'acquisto di beni e servizi provenienti dall'Italia. E quasi mai coordinato con quelli di altri stati dell'Unione Europea.
L’ultimo vertice G8 ha confermato l’impegno ad aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo, mentre a Roma il governo tagliava il 25 per cento delle disponibilità per la cooperazione del ministero degli Esteri per il 2009-2010. Intanto, ad Accra, in Ghana ci si prepara ad affrontare il nodo della qualità, con la terza Conferenza internazionale sull’efficacia degli aiuti dal 2 al 4 settembre.
Dal 2000 in poi l’architettura dell’aiuto è diventata sempre più complessa e rischia il collasso gestionale.(1) Per questo, nel 2005 la comunità internazionale ha adottato la Dichiarazione di Parigi sull’efficacia dell’aiuto con obiettivi da raggiungere nel 2010: è il documento di riferimento per Accra. Se gli obiettivi della Dichiarazione verranno realizzati, l’aiuto sarà più trasparente, prevedibile, legato ai bisogni di sviluppo e gestito dalle amministrazioni dei paesi partner.In vista della sua attuazione, molti donatori Ocse hanno presentato piani d’azione per riformare tempestivamente la gestione degli aiuti. Il nostro paese non è tra questi: non ha approvato alcun “piano nazionale italiano per l’efficacia dell’aiuto” e solo recentemente, al ministero Affari esteri, sono state avviate riflessioni sul tema dell’efficacia, che non hanno prodotto ancora nessun documento strategico pubblico.
In questo caso, il ritardo italiano non è attribuibile alla difficile congiuntura economica o alle ristrettezze del bilancio nazionale: il rispetto degli impegni di Parigi richiede soprattutto un cambiamento del modo di fare aiuto. Anzi, si dà la possibilità di far fruttare al massimo le risorse già stanziate: un’opportunità per la nostra cooperazione continuamente alla prese con dotazioni finanziarie sempre ben al di sotto della media europea – nel 2007, 0,19 per cento del Pil contro la media europea dello 0,40 per cento.
Purtroppo, la valutazione per il 2007 evidenzia una cooperazione italiana lontana dagli obiettivi di efficacia con strategie di sviluppo non allineate alle priorità del paese partner; erogazioni d’aiuto imprevedibili e volatili; aiuto condizionato all’acquisto di beni e servizi provenienti dall’Italia; proliferazione di strutture parallele per la gestione di progetti; missioni di monitoraggio e lavoro analitico non coordinato con gli altri donatori. (2)
Grafico 1. Paragone cooperazione italiana – media Ue rispetto agli indicatori della Dichiarazione di Parigi.
Fonte: elaborazione ActionAid su dati EC, Comunicazione Monterrey report, aprile 2008.
Grafico 2. Numero di strutture di gestione indipendenti ogni 100 milioni di dollari di Aps bilaterale al netto del debito, 2005.
Fonte: elaborazione ActionAid su dati EC, Comunicazione Monterrey report, aprile 2008.
Si tratta di risultati simili a quelli pubblicati dalla società di consulenza Development Finance International nel 2004, dove si registrava che i governi africani valutavano il livello di efficienza della cooperazione italiana pari a quello dell’Austria o dell’Arabia Saudita. (3)
Il mancato allineamento dell’intervento italiano alle priorità di sviluppo degli altri paesi dipende soprattutto dalla gestione centralizzata e dalle scelte dei canali dell’aiuto. La nostra cooperazione predilige “l’aiuto a progetto” rispetto all’“aiuto a programma” (8 per cento del bilaterale italiano al netto della cancellazione del debito).
Nell’aiuto a progetto i donatori finanziano un’iniziativa ben definita e ne stabiliscono tutte le modalità di gestione. Si possono dunque ignorare del tutto le priorità di sviluppo dello Stato partner, creando strutture parallele di gestione. Invece, l’aiuto a programma è una forma di sostegno finanziario alle strategie di sviluppo approvate dai governi dei paesi partner che include tra i suoi strumenti “approcci settoriali”, “sostegno settoriale” e “sostegno generale” al bilancio dello Stato. Gran parte dell’incremento dell’aiuto atteso italiano passerà ancora attraverso i progetti, anche se, sotto la spinta europea, si tenta di mettere in atto un maggior decentramento della gestione.
L’aiuto legato – ossia condizionato all’acquisto di beni e servizi italiani – al netto del debito fa dell’Italia il peggior donatore dell’Unione Europea. Si tratta di una forma d’aiuto inefficace poiché fa lievitare i costi del 30-50 per cento rispetto a forniture assegnate con un bando. Secondo lo Human Development Report 2005, per ogni euro che il nostro paese destina all’Etiopia, 14 centesimi vengono spesi per l’acquisto di beni italiani. Un altro esempio è la donazione finanziaria dell’Italia nel gennaio 2006 al programma alimentare mondiale destinato a Uganda e Burkina Faso, con la precisa indicazione di acquistare riso italiano, che a quel tempo, costava 527,8 dollari a tonnellata, mentre il riso thailandese o pakistano, acquistato sul mercato internazionale, costava 200 dollari a tonnellata. (4)
In gran parte, il problema dipende dalla legge di disciplina della cooperazione, la legge 49 del 1987, che obbliga a “legare” tutti i crediti d’aiuto a meno di una specifica deroga. Così, nel 2006, i crediti d’aiuto rappresentavano il 73,9 per cento dell’aiuto legato italiano. Ad esempio, in Angola, il Programma di ammodernamento delle telecomunicazioni nella provincia del Kwanza finanziato con un credito d’aiuto di 18 milioni di euro, è realizzato dall’Alcatel; così come la fornitura di 24 convogli ferroviari al Marocco, finanziati da un credito di 200 milioni di euro, è affidata all’Ansaldo. (5)
L’altra area critica per l’efficacia della cooperazione italiana riguarda il coordinamento: solo 7 delle 93 missioni italiane sono state eseguite congiuntamente con gli altri donatori (8 per cento) e solo il 18 per cento delle analisi sono state condivise. Con la Spagna, si tratta dei peggiori dati tra gli Stati dell’Unione che condividono in media la metà del lavoro analitico e coordinano un quarto delle loro missioni nei paesi beneficiari. (6)
L’Italia contribuisce significativamente ad aumentare il lavoro amministrativo dei paesi partner. Un tipico governo di un paese beneficiario deve completare, ogni anno, più di 2.400 rapporti quadrimestrali per i donatori, con le loro più di mille “missioni di monitoraggio” all’anno. (7)(8)
L’incontro di Accra poteva rappresentare per l’Italia un’opportunità per portare alla conferenza questioni di tradizionale impegno per la nostra cooperazione e soprattutto per avviare immediatamente un’analisi interna. I ritardi dell’amministrazione e l’incerta congiuntura politica hanno ritardato la riflessione e vanificato ogni possibilità di un maggiore protagonismo internazionale, mentre il nostro paese si appresta ad assumere la presidenza del G8. Per l’Italia resta l’obbligo di rispettare gli obiettivi della Dichiarazione di Parigi: la costringeranno a “riformare gestionalmente” la sua cooperazione allo sviluppo, verso il decentramento, lo slegamento e il coordinamento. Si realizzerà surrettiziamente in tre anni una mini-riforma della cooperazione, dopo che per dieci anni a Roma non si è riusciti a portare a termine nessuna riforma della legge 49. ActionAid ha stimato i costi di transazione dell’aiuto nel 2003 a oltre 9 miliardi di dollari: il 13 per cento del totale degli aiuti.
(1) World Bank, Global Monitoring Report 2007, 2007
(2) Ocse-Dac, Paris declaration monitoring Survey, 2007.
(3) Development Finance International, The effectiveness of aid to Africa since the Hipc initiative, August 2004.
(4) ActionAid, La struttura dell’aiuto alimentare italiano dal 2000 al 2006, 2007.
(5) Dgcs, Relazione stato attuazione della politica di cooperazione per l’anno 2005, 2007.
(6) Ocse-Dac, Paris declaration monitoring Survey, 2007.
(7) Van de Walle N. e T.A. Johnston (1996) Improving aid to Africa, Odc Policy Essay no. 21. Si tratta di stime piuttosto rozze, che sarebbero poi state erroneamente citate dall’ex presidente della Banca Mondiale James D. Wolfensohn, che affermò che il governo della Tanzania preparava 2400 report quadrimestrali e ospitava più di mille missioni ogni anno (Roodman D. (2006) Aid Project Proliferation and Absorptive Capacity, CGD Working Paper no. 75).
(8) La stima è stata effettuata assumendo che i costi di transazione siano pari al 10 o al 20 per cento dei flussi di aiuto, a seconda che il beneficiario sia definito come “buon utilizzatore” o “cattivo utilizzatore” degli aiuti. Si veda ActionAid (2005) Real Aid: an agenda for making aid work. Si tratta di stime sommarie che comunque sottolineano le potenziali dimensioni del fenomeno.
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